prima giornata: la città dis-abitata Sta girando un video sui social: sole di mezzogiorno, contorni netti da fine inverno, gran corsa in auto all’americana per le strade di tutto il centro a ripresa accelerata. Strade deserte, solo architettura urbana, che rendering!!! Normalmente, per i film, certe riprese vengono fatte all’alba, ma sono livide, false di Photoshop e strascicate di sonno. Questa invece è l’immagine terribile di una vera città vuota a mezzogiorno.
Anch’io sono in città, in pieno centro, sul ponte di Michelangelo. Sono in quarantena per la pandemia provocata dal virus Covid-19. Sono solo. Non mi accadeva dal ’68, anno senza virus, in cui però poteva accadere qualsiasi cosa. Non abito qui, né sono un homeless nascosto sotto le mirabili arcate del ponte, neanche temporaneamente, quindi non potrei essere qui. Dovrei essere a casa, invece faccio il turista abusivo. Arriva un altro essere umano che cammina verso di me, non è un turista, è un giovanotto sulla quarantina, come tutti. Piumone e zaino grigio scuri. Parla su un cellulare messo a bavagliolo e aperto sul viva voce, impossibile da ignorare. Dice e ripete: ‘tutte vuote, ho spento il riscaldamento, sì, ho pulito abbastanza, non abbiamo arrivi, siiiì, anche l’acqua calda, qui non c’è più nessuno, una persona sola, un vecchio… che fa? Niente! Chiediglielo te, te lo passo? Scherzavo, siamo rimasti in due a vivere qui …’ eccetera…
Alt! Un momento, questo non è un romanzo, né un racconto. È un saggio di urbanistica sul futuro della città. Quale città? Questa città, vale a dire: ogni città, oggi disabitata, ma domani pronta a riempirsi di nuovo. Anzi, voglio dedicare 4 giornate della mia quarantena a parlare della città di ieri sera (chi la riempiva, chi la abitava, come ci si muoveva, come si lavorava, quale spazio pubblico, quale cultura …) e poi pensare al dopo… finita la pandemia.
Partiamo dal personaggio incrociato sul ponte, chiamiamolo: elettore. Un elettore che non dice la verità, anche se vota qui, ma non vive qui da anni, cioè da quando, come tutti, ha ristrutturato la casetta familiare pittoresca sul viale, dove ancora figura residente-prima- casa, compreso il garage, la cantina e il cesso nel cortile, e anche l’appartamento della nonna vista-monumenti, quali non importa, qui vicini. Li ha suddivisi, uno per l’altro, in loculi di cartongesso con aria condizionata fino ad ottenere 19 posti-letto che l’anno scorso affittava a 30€ al giorno per 7 o 8 mesi, fategli voi i conti in tasca. Oltre al beneficio economico e ai salti mortali col fisco il nostro elettore aveva graziosamente contribuito in questi anni ad alimentare il ‘Paradiso Centro Storico’ delle zanzare, che godevano come matte delle pompe di calore mandate a palla giorno e notte, inoltre, grazie alle suddette pompe di calore, ci regalava qualche grado di temperatura in più per contribuire al riscaldamento globale in città. Da quando se n’è andato, ha pagato il mutuo della casa che si è comprato nell’area metropolitana, residente la moglie-prima-casa, dove il nostro vive attualmente. Ha anche cambiato lavoro: era impiegato e ora fa il pendolare in proprio e pesa di più sull’ambiente urbano. Infatti percorre due volte al giorno, andata e ritorno da solo in macchina, i circa 60 chilometri necessari per organizzare accoglienza e servizi agli ospiti in affitto. Inoltre da un paio di anni ha aperto in società con altri un bar-pub movida qui nel quartiere, oggi malinconicamente chiuso a causa del virus, chiamiamolo Covida … Questo è l’elettore-base, che si è fatto da solo inventando un modello stagionale di speculazione turistica veloce a base di dépliant sui comodini e fotografie motivazionali dei monumenti incorniciate sui cartongessi divisori. Altri elettori, più abbienti, ne hanno seguita la fortuna propria e immobiliare, destinando con tariffe più care l’uso di interi palazzi o piani nobili ad affitti corti, gestiti da agenzie specializzate. Sostanzialmente non vi sono altre differenze, entrambi vivono esclusivamente sulla rendita di posizione della città, che garantisce un’alta percentuale di occupazione, ed hanno saturato a ragnatela la parte affittabile ai turisti, cioè tutto il centro con estensioni lungo le linee direttrici del trasporto pubblico.
Oggi è la prima giornata senza i residenti che non ci sono più e senza i turisti passanti che non arrivano più e sarà così per tutta la durata della quarantena e oltre, nessuno lo sa…
Massimizzando in un rapido calcolo, negli ultimi 10 anni sono rimasti a dormire in centro meno della metà dei residenti, ma con i turisti passanti la città ha moltiplicato 10 volte gli abitanti stagionali. Tornerà la città a rappresentare un pozzo d’oro da sfruttare ‘come prima, dove prima’ o conviene riflettere e azzardare alcune di queste domande-chiave per ri-abitarla più virtuosamente?
Strade vuote, come si è detto. Una macchina ogni tanto. Procede cauta, Senso di colpa? Stento a crederci, meglio pensare che non ha l’autorizzazione e fa la brava per non incuriosire le pattuglie. Reato penale #multesalate. Aria pulita, invece. Silenzio. Si sta meglio, si respira e si fa presto ad abituarsi. Ecco un Bus! Rallenta accosta apre scende una donna, nessuno sale, richiude riparte. Perfetto. Perfetto. Le strade in città (le piazze gli spiazzi gli slarghi) sono ad uso pubblico, è lapalissiano, ma presto torneranno ad essere ingolfate da mezzi privati e da emissioni di privati. Potrà la città del dopo … chiedersi il perché? Non sarebbe l’ora di destinare il lusso dell’auto di famiglia alla semplice scampagnata domenicale (si fa per dire … ) e organizzare mobilità e trasporti perfetti secondo orari smart mezzi a nolo prenotazioni sostenibilità?
Sì, caro professore, ha ragione a dirmi che si fa presto (fastfastfast) a disegnare al computer un rendering visionario: basta tenere la vista corta sulla città … e non parlare di territorio. Caso vuole che proprio sul sistema arterioso e venoso che alimenta la città, cioè sulla mobilità, si vada giocoforza verso il territorio. Leggo ‘La città e il territorio’ 4 lezioni di Giancarlo De Carlo, seconda lezione: ‘ … la vita della città non è possibile senza l’esistenza di una rete di attrezzature che si espande nel territorio. Una città assediata non resiste molto, perché, se si interrompe il suo rapporto con il territorio, non può sopravvivere’.
Il sentimento di vivere in una città assediata lo abbiamo percepito e sofferto fino a due giorni fa … Lei c’era, professore, e oggi che vede la differenza non le viene il dubbio che, riguardo al territorio, la nostra città abbia sbagliato tutto? Vediamo.
Questa città ha scelto l’accentramento chiamandolo centralità, quindi ha confuso:
Prima con l’Autostrada, poi con l’Alta Velocità (TAV), e ora con l’Aeroporto, in barba a logiche più vaste (città metropolitana, Regione) non una di queste scelte ha creato futuro e migliori prospettive di qualità urbana, infatti:
Esistono naturalmente progetti alternativi, mai presi in seria considerazione, per risolvere queste criticità e creare finalmente le condizioni per ordinare i flussi dell’intera città metropolitana e le connessioni con il territorio, la Regione, fino all’Europa. La speranza è che la città del dopo possa acquisire questa matura consapevolezza urbanistica, cioè quella di applicare soluzioni semplici ai problemi complessi che si sono creati.
In sintesi:
Con le seguenti opzioni e peculiarità:
Decongestione della stazione centrale e ripristino dei servizi internazionali veloci da/verso le principali città europee.
Costi e ricavi overall, ovvero si paga da sé:
Recupero dei costi infrastrutturali con i risparmi di esercizio e la maggiore efficienza, vendita dell’attuale sede aeroportuale, rigenerazione stazioni, vari sviluppi e ricuciture urbane, aumento valori immobiliari del ‘laccio ferroviario’, nuove strutture pubbliche e ulteriore crescita dei valori immobiliari grazie ai benefici ambientali diffusi (Parco della piana, convenienza treno/vs/aereo, convenienza treno/vs/auto, spostamento A1, reti di micro mobilità elettrica locale dalle stazioni minori rigenerate …)
terza giornata: la città occ-upata
Non so se la memoria ne ha conservato i segni, certamente non la città. Siamo negli anni ’80 e si parla di sventramento,
Sono io che scrivevo (Firenze Punto Zero, 1993, da ‘Concerto per sirene e scappamenti’ pagg 121 e seguenti)
Sventramento… strisciante, sullo strato basso dei quartieri popolari della città, a forza di moquette copri magagne e muffe, di canaline per gli impianti a norma (leggi: a spregio ), di finestre sigillate, aria condizionata, binari elettrificati e faretti, si è trasformato in ufficio qualsiasi fondo cloaca ex stalla tugurio, qualsiasi loculo sufficiente a piazzare un computer sopra una scrivania. Non uno di questi immacolati, bianchissimi nuovi luoghi di lavoro ha potuto, però, tradire le sue origini. Infatti nel regno del computer filtrava un costante affettuoso odore di fogna (era già un virus?), memoria troppo più forte dei deodoranti e dei siliconi. Memoria di una delle città con il più alto tasso di tubercolosi, dove gli imbianchini venivano chiamati ‘spiaccica ragni’…
Negli anni 2000 fino ad oggi, grazie alla liberalizzazione degli esercizi commerciali, quasi tutti quei fondi, che in verità spuntavano affitti modesti, si sono riaperti e sono tornati alla luce, letteralmente. Questo secondo fenomeno strisciante di gentrificazione diffusa non si è fermato qui, ma si è allargato a tutta la città storica. Le strade si sono trasformate in ‘Mangificio’ luminoso pedonale continuo a orario continuato, inclusa la ‘movida’ notturna che non mandava la città a dormire. Il tutto molto apprezzato dai turisti e molto profittevole per gli operatori. In sintesi si è creata una nuova centralità occupazionale, sostenuta dagli affitti alti dei fondi e naturalmente dagli affitti corti dei piani superiori di cui abbiamo parlato nella prima giornata. I costi sociali di questo successo sono noti: sparizione dei cittadini residenti e delle botteghe artigiane, pendolarismo metropolitano quotidiano, aumento dei costi di manutenzione urbana in uno stato permanente di crisi ambientale. Ora che la città-champagne è svanita nel virus, proviamo a riconsiderare la condizione coattiva di questa quarantena civile dai termini non precisati, vero è che in pochi giorni, inaspettatamente, abbiamo ricominciato a camminare, anche su lunghe distanze, attraverso una città silenziosa, calma, aperta a certi orari e solo per i bisogni primari, quindi niente carrelli riempiti in fretta di birre e altri alcolici, ritorno della cucina casalinga e niente spreco di cibo. I social sottolineano in continuazione, fra il serio ed il faceto, questo ed altro. Per esempio, abbiamo migliorato la nostra alfabetizzazione informatica, così abbiamo finalmente capito che si può, e bene, lavorare da casa, abbiamo aperto le finestre e abbiamo goduto il suono delle campane e il frizzantino dell’aria pulita, dovremmo anche essere diventati più responsabili all’osservanza delle norme da parte di tutti, invece di voltarci dall’altra parte e a casa, poi, parliamo e passiamo più tempo con i nostri figli e i nostri partner (e c’è il caso, sottolinea qualcuno brillantemente, che l’anno prossimo sia risolta la crisi demografica …), abbiamo, infine, sintonizzato le nostre scelte televisive più sulle competenze che sulle sparate propagandistiche.
Quando ne usciremo saremo diversi, quindi avremo capito, ne sono sicuro, che l’occupazione, la scuola e il lavoro in città potrebbero essere organizzati diversamente, ma come? Vediamo: orari flessibili innanzitutto, per evitare i groppi di traffico concentrato tutti i giorni alle stesse ore. Non dovrebbe essere difficile, visto che il lavoro da casa è più conveniente, sia per chi lavora, sia per chi dà lavoro. Va in crisi, dunque, il concetto di ufficio in generale e la sede unica ad orario fisso, come dimostrato dal successo delle strutture di co-working. Anche la città cambia di conseguenza: Ancora io, scrivevo (ibidem, 1992, da ‘Un Parco a tema: la città’ pagg 107 e seguenti… Gli istituti bancari restaurano frequentemente i loro palazzi in città, ma si troverebbero meno imbarazzati, invece di dover tappare le vetrine su strada con i monitor pieni di listini di borsa, obbligazioni e buoni del tesoro, se una normativa disponesse la riapertura di quei vani ad uso artigianale e commerciale per conservare alla città i servizi rari che vivono solo nei Centri Storici, ma che ne sono stati espulsi e condannati a morte prematura, uno dopo l’altro, dagli affitti iperbolici della concorrenza commerciale …). Guarda un po’, dopo quasi trent’anni la mia provocazione si è fatta meno visionaria. L’home banking ha svuotato le banche, che ora cercano di apparire meno rigide e pompose, più vicine al cittadino e certamente approverebbero l’idea e l’opera buona per il marketing di salvare, o resuscitare quei valori e quei saperi artistici, culturali, letterari, antiquari, artigianali, cioè quelle botteghe storiche che la città ha perduto, offrendo loro un fondo ed una vetrina in centro ad equo canone. Sbaglio? Si creerebbero, in stile co-working, filiere di Alta Identità Urbana, linee di produzione di pezzi unici DOGC, ben inquadrate architettonicamente nei profili della città storica, mentre le banche avrebbero mille vantaggi a salire al primo piano … Le banche potrebbero farlo davvero, in quanto considerate entità autonome, ma riflettono però un vulnus urbanistico, in quanto, scrive De Carlo nella sua quarta lezione … l’idea che una configurazione spaziale possa essere autonoma deriva da un modo di pensare di corta vista, prodotto da preoccupazioni di autoconservazione… Invece, la consapevolezza culturale che si vuol ricomporre deve essere ‘provata’ e non fondata su assunti ideologici (religiosi, morali, politici).Un esempio è la Manualità: storica attitudine artigianale, abilità laica, stanziale e multidisciplinare. In certi casi, addirittura artistica . La città del prima … aveva intitolato le strade ai mestieri, la città del dopo … dovrebbe riassorbire la sostanziale odierna autonomia e ‘solitudine del manutentore’, che spesso abdica di fronte all’offerta del ‘tutto nuovo’. Dovrebbe promuovere e allestire scuole e laboratori della manualità, che oggi si vale di computer e stampanti 3d. Quindi non si tratta di un nostalgico concetto di ritorno, ma di una cultura nuova della città sostenibile, che ripara, ricicla, riassembla, integrandosi in una forma di co-working che intreccia competenze diverse.
Ed è mia convinzione che ogni prerogativa culturale, prodotta-offerta dalla città, debba essere sostenuta da una ‘provata’ sostenibilità ambientale della città medesima.
quarta giornata: la città cult-urata
è mia convinzione, ripeto, che ogni prerogativa culturale, prodotta-offerta dalla città, debba essere sostenuta da una ‘provata’ sostenibilità ambientale della città medesima … ‘ trasferire il Centro Storico della città nell’ambito normativo di un Parco Urbano significa vivere la qualità urbana come qualità ambientale. Un Parco di pietra, la cui fauna protetta siano i residenti, riporta in primo piano la priorità e i diritti civili della dimora, e i bisogni, cioè i verbi della pura necessità (respirare, bere, mangiare, dormire, muoversi … lavorare, comunicare, scambiare) servizi dovuti come corollario dei diritti stessi. La condizione necessaria è quella di mantenere fittamente popolato il Parco di Pietra e al tempo stesso sfidare la congestione. Primi benefici diretti: - pendolarità ridotta, - perdita di interesse e di necessità di spostarsi col mezzo privato, - concentrazione e stanzialità delle attività culturali ed intellettuali.’ (ibidem,1995 da ‘Aree Metropolitane e Parchi di Pietra’
Troppo chiedere, ma prima di abbandonare la visione utopica appena azzardata, conviene forse chiedersi fino a che punto di irreversibilità sia giunta la città che emerge dalle prime tre giornate, la città accentrata e compattata, quella dell’aria irrespirabile, del turismo 24h, dei pendolari, dei costi di manutenzione talmente alti da assorbire la quasi totalità delle risorse pubbliche.
Bisogna allargare i confini e le abitudini. La speranza di riequilibrare gli scompensi risiede e va sviluppata nel territorio della Città Metropolitana e nelle diverse centralità che esprime. Proviamo quindi ad invertire i poli del concetto ritardante di ‘campanilismo’. Vi sono dunque Centri storici medio-piccoli, anche borghi ed episodi architettonici di storica eccellenza, interpreti fino a ieri di una forma di resilienza limitata all’isolamento conservativo, che vanno accomunati, nella Città Metropolitana del dopo … in uno sforzo organizzativo a rete, che non può consistere in iniziative di tour-operator, né nella buona volontà di valorosi Comitati locali. Il grimaldello del rilancio organico della Città Metropolitana sta nella redazione di una nuova, omnicomprensiva, Mappa della Cultura, che puntualizzi sedi e risorse, luoghi di visita, scuole, laboratori, residenze di artisti di ogni categoria, architetti, scienziati, artigiani. Non solo, ma tutte le scuole del territorio, pubbliche e private, nazionali e di altri Paesi, svolgeranno nei loro programmi temi e documenti dedicati a un luogo, un fatto o un progetto incluso, o da includere nell’ipertesto della Mappa della Cultura della Città Metropolitana (MCCM)
MCCM è un programma ‘verde’, in quanto la cultura urbana non potrà più nascere in presenza di, o, peggio, coprire le nocività ambientali. Dunque, alla quarta giornata di quarantena, la Città del dopo … dopo aver parlato di Residenza (prima giornata), Mobilità (seconda giornata), Occupazione (terza giornata) rivela che sarà la Cultura (quarta giornata) il concetto ordinatore immateriale, ma che essa vada assolutamente subordinata allo stato reale del territorio stesso, alla sua vitalità, alla sua cura, alla sua vegetazione. Michelucci definiva la città ‘…quel qualcosa che va perennemente ricostruita …’ e quando gli mostrai un ‘Boboli Contemporaneo’, ricavato dal ‘…laccio ferroviario che cintura la città …’ e piantumato dove possibile dalla stazione fino alle colline, il Maestro novantasettenne lo pubblicò sulla sua ‘La Nuova Città’ (n.4\5 -1988).
‘Boboli Contemporaneo’ è un Central Park lineare tra le traversine, tipo la High Line, che chiuderebbe i conti ambientali nati in deficit con l’espansione ad ovest della città consolidata e oltre, fino al parco della Piana, che è il cuore verde metropolitano. La decongestione della stazione centrale, annunciata nella seconda giornata, consentirebbe, non solo di mitigare con il Parco urbano il paesaggio ferroviario, ma di pensare ad una grande infrastruttura verde che ‘abbraccia tutte le funzioni fieristico-espositive della città’ (da: La Nuova Città’(n.4\5 -1988, pag 106), con straordinarie opzioni di rigenerazione urbana ricca di enormi manufatti rinascimentali, edifici-capolavoro dell’architettura modernista, aree e capannoni ferroviari, corsi d’acqua, scorci e prospettive paesaggistiche strabilianti.
Chiudo, con la massa critica ed il peso-specifico della cultura urbana, la visione complessa della città del dopo … in forma critica, analitica e progettuale non disgiunte, ma da parte mia questa è soprattutto la speranza che, al termine della pandemia, il ritorno alle abitudini non segua una bendata e fatale meccanica di riappropriazione, come se …
Vittorio Maschietto, Bagno a Ripoli marzo 2020