La prima cosa è il silenzio.
Non quello sereno di un bosco o di una montagna, né quello scintillante di un mare notturno.
Il silenzio di una città solitamente operosa, attonito, cupo, spaventato e dolente.
La seconda cosa è l’urlo, l’urlo delle sirene delle ambulanze che passano tre, quattro o cinque volte ogni ora, giorno e notte, che le senti prima nella pancia e nel cuore che con le orecchie.
E poi l’impensabile, l’incredibile: camion militari in fila che a 200 metri da casa mia portano via le salme dei poveri cristi che non ce l’hanno fatta: il cimitero di Bergamo non riesce a cremarne tanti, al massimo uno ogni mezz’ora e non basta.
La lunga teoria dei morti, degli scomparsi, a centinaia, sulle pagine del giornale.
E il pensiero che nessuno li ha neppure salutati. Un’ambulanza li ha presi sotto casa e dopo qualche giorno arriva una telefonata da un medico, o dal Comune che avvisa che il tuo caro non ce l’ha fatta. E non lo vedrai neppure più, non potrai salutarlo o piangerlo.
Il termine “scomparso” acquista un nuovo significato, al quale nessuno di noi aveva mai pensato.
Franco Uggetti, Bergamo 5 aprile 2020