È stato un tempo fucina

Qualche giorno fa, sono entrata in un negozio d'abbigliamento per prendere un regalo ad una amica. Ho comprato una cosa per lei, poi ho visto una gonna bellina da morire, una gonnellona ampia, lunga, morbida di quelle che piacciono a me, l'ho provata, mi stava perfetta, non costava tanto, ci ho pensato e non l'ho presa, più tardi tornata a casa, ci ripensavo ed ero felice di non avere comprato la gonna... è una delle conseguenze del Covid.

Non ci aspettavamo quello che è accaduto, ci siamo trovati improvvisamente a dover stare chiusi in casa e a fare i conti con un altro modo di vivere.

Per me è stato un periodo di ascolto, un tempo da allungare le orecchie per sentire che diceva il mondo fuori e cosa diceva il mio mondo dentro.

Ho cambiato marcia, ho rallentato e riscoperto cose che si notano solo se si va piano, i piaceri della quotidianità domestica, cucinare con quello che c'è e magari fare piatti più buoni del solito, raccogliere margherite in giardino e metterle in un vasetto. L'ho abitata davvero la casa, non ci sono scivolata di passaggio come altre volte, mura, pelle, posto sicuro, pane, stanze a cui sorridere, pareti, soffitti, scale a cui dire grazie. Ho sistemato gli armadi e lì mi son detta di non comprare più niente per un bel po', che non ho bisogno di niente, ho abiti fioriti che mi conoscono e sanno come starmi addosso.

Mi sono alleggerita di fardelli inutili che portavo per abitudine e che mi piegavano le spalle.

Mi sono alleggerita soprattutto di preoccupazioni inutili.

Ho lavorato a un nuovo spettacolo. A gennaio mi avevano chiesto di raccontare la vita di Maddalena di Canossa, una santa del 1700, ma avevo già detto di no, mi pareva lontana, poco attuale, non mi stimolava per nulla, poi in casa ho trovato tre biografie su di lei, che non sapevo di avere, e ho cominciato a scrivere. È il primo racconto all'interno del quale parlo anche di episodi della mia vita, del Covid, del Monni, di un sacco di cose. Maddalena mi ha traghettata, a lei dedicavo la mattina, mi alzavo, caffè, biscotti e via a scrivere. E dopo cena con cartoni, stoffa bianca, trincetto e colla ho fatto due sagome che terrò sulla scena...non so se mi serviranno, mi è servito farle, mi serve vederle in casa.

È stato un tempo fucina, un tempo creativo per riaccomodare le cose, per misurare la pazienza, la fiducia, per la bellezza del silenzio. È un tempo che economicamente mi ha impoverita, perché non ho lavorato ...però un po' di povertà salva dall'accomodamento.

Ho pianto per la morte di un amico che il Covid s'è portato via… e avevo ancora delle cose da dirgli.

Mi sono commossa quando al telegiornale vedevo applaudire i medici e gli infermieri, quando vedevo le camionette dei militari portare via i morti, quando ho visto papa Francesco, solo, in una sera piovosa, a pregare in piazza san Pietro, e anche a vedere gli animali riprendersi gli spazi.

Ho riso con mio figlio, ho cantato. Ho ringraziato tante volte il cielo per il lavoro che faccio, un lavoro meraviglioso che mi lega alla vita, mi lega alla gente anche quando non ci sto accanto, che mi salva.

Tutto sta ricominciando, ieri hanno aperto i teatri e sono felice che sia così, ma vorrei non perdere il senso di sacralità, leggerezza e gratitudine che questa pandemia mi ha lasciato

Elisabetta Salvatori, Forte dei Marmi 16 giugno 2020