Le mie giornate generalmente le passo in studio, a meno che non sia costretto a uscire, di conseguenza la quarantena non ha turbato più di tanto la mia quotidianità. Anzi devo dire che all’inizio mi è sembrata un’ottima occasione per avere tutto il tempo che volevo di fare cose rimandate da mesi, anni, decenni. Invece non è stato così. Paradossalmente per gran parte della quarantena non sono riuscito a fare niente di concreto, sono entrato in uno stato di inconcludenza e sospensione mai provato prima. I disegni che ho fatto in questi due mesi sono finiti quasi tutti nel cestino, a parte qualcuno che ho salvato. Ho iniziato e abbandonato dopo poche pagine diversi libri. Ho guardato film e serie per quindici minuti prima di spegnere tutto preso da un senso di noia. Ho il cane e ho avuto il privilegio di uscire, ma la situazione fuori era davvero straniante, onirica, metafisica. Mi sono ritrovato di colpo nella dimensione claustrofobica e un po' grottesca dei miei quadri, dove la vita degli uomini si consuma in angusti appartamenti in città deserte e silenziose dove i palazzi sono gli unici protagonisti. Tutto questo mi ha fatto entrare in una sorta di stand by. Ho fatto qualche lavoretto di manutenzione casalingo e altre poche e scarse cose.
Nel cazzeggio quotidiano però, un giorno, rimettendo a posto lo studio, ho rinvenuto una carta anatomica che trovai nella spazzatura una decina di anni fa. È un oggetto particolare, proveniente dal Deutsches Hygiene Museum di Dresda, e raffigura a dimensioni reali un corpo umano senza pelle. Lo portai subito in studio con l’intenzione di intervenirci sopra, ma poi non fui capace di farci niente. Il tempo passò e me lo dimenticai. Ed è bello quando si ritrova qualcosa dopo tanto tempo e comprendi improvvisamente che quella lunga attesa era necessaria. Quell’immagine in quel preciso momento assumeva un nuovo significato, di colpo sapevo bene che tipo di intervento fare, cosa volevo che rappresentasse. Quel corpo denudato eravamo noi, uomini e donne, reclusi nelle case e costretti a fare i conti con sé stessi. Spogliati dalle vanità, dai ruoli sociali e dall’immagine che si vuole dare di noi all’esterno. Una specie di Ecce Homo, eccoci qui, ecco quello che in fondo siamo tutti: persone.
Luca Matti, Firenze 31 maggio 2020