QuarantineDreams. Ma non ci molti sono sogni nella mia quarantena.
E sono un po’ disobbediente. Con tutte le precauzioni, intendiamoci, ma un po’ esco anche perché non posso non uscire dato il lavoro che faccio.
Non riesco a fotografare solo quello che succede all’interno dei miei 60mq anche se di cose interessanti in fondo ne succedono. A partire da mia figlia che mi sgrida ogni volta che esco ma poi ha deciso di impegnarsi come volontaria. I miei figli ventenni sono abituati agli schermi, a stare ore davanti a monitor, che siano computer o telefoni, a relazionarsi con gli amici attraverso il video. Addirittura giocano a dadi con gli amici, attraverso lo schermo.
Mentre la mia resistenza è poca. Pochissima. Soprattutto quando fuori la luce è stupenda. La luce. Ciò che dà forma alla fotografia. E in questi due mesi qui a Milano, la luce è stata quasi sempre incredibile. Quasi uno schiaffo in faccia.
Il virus ci ha detto delle cose: non esagerate, c’é un limite alla vostra arroganza, non consumate senza ritegno che la Terra è una e, soprattutto, che non ci sono confini né terrestri né sociali per i virus. Colpisce tutti, dovunque. Forse che, dobbiamo ripensare il nostro modo di vivere in modo diverso?
I media e la politica parlano con il linguaggio della guerra: emergenza, prima linea, eroi, combattenti, guerra al virus, battaglie perse e vinte.
Ma cos’é davvero la guerra? Lo vogliamo chiedere ai siriani sotto i bombardamenti, ai kurdi in carcere, ai giovani africani che emigrano? che cos’é confinamento? Lo vogliamo chiedere ai Palestinesi dietro il muro o sulla spiaggia di Gaza? Che cosa sono le maschere antigas? glielo vogliamo chiedere a chi protesta nelle piazze?
No, la nostra informazione non glielo chiede, perché se glielo chiedesse, si ritroverebbe a raccontare il nostro presente con parole meno enfatiche e questo non farebbe audience.
Quello che possiamo fare è documentare questo tempo, ognuno coi propri mezzi e con la propria sensibilità, nei luoghi che vuole, con onestà, affinché rimanga memoria delle nostre vite sospese e del disastro avvenuto, soprattutto in Lombardia. La retorica dell’ “andrà tutto bene”, “del medico eroe” è una melassa insostenibile, soprattutto quando i medici son stati costretti loro sì a una guerra senza essergli stati forniti per tempo gli strumenti per difendersi e difenderci, nonostante sapessimo cosa stava accadendo in Cina.
Chiedetelo a Lodi, Cremona e Brescia, a Bergamo e alle sue valli se è “andato tutto bene”.
Isabella Balena, Milano aprile 2020