Ormai sono diventato un personaggio dei racconti che cerco di pubblicare. Un uomo immobile, fermo, educato, che cerca di scrivere. Una specie di manichino, uno di quei pupazzi da crash & test che si è messo in testa di scrivere improbabile letteratura di ricerca. La mia immobilità è imposta, decretata, scientifica, batteriologica. Sono un eroe beckettiano, vivo tra il salotto, la cucina e il bagno e penso ormai di essermi innamorato della mia cella. Ogni carcerato prima o poi si innamora della sua cella. Lo chiamano il complesso di Sant’Ignazio. Più lunga è la carcerazione e più difficilmente il carcerato a fine pena, riuscirà a staccarsi da quell’utero rassicurante che all’inizio tanto odiava. Mi concedo poco svago in questi giorni di isolamento, qualche telefonata, qualche pezzo di pecorino con baccelli, pochissima carne e qualche sguardo dalla finestra. E menomale che ho un salottino con una poltrona di pelle comodissima. Passo quasi tutto il tempo immerso in quella bella poltronciona. Seduto lì scrivo la mia robaccia e bevo caffé solubile, uno dopo l’altro. Stasera ho voluto vedere un film di Bergman, ne ho scelto uno a caso da internet, gratuito. Volevo vedere qualcosa in bianco e nero, qualcosa che scorresse silenzioso e lento, non ascoltavo nemmeno le parole. Ho messo una versione in svedese. Mentre scorrevano le immagini del film, scrivevo e divagavo col pensiero. Mi limitavo a vedere la tecnica di regia e il montaggio, i campi contro campi. I volti in bianco e nero delle donne anni sessanta che si alternavano. E lì, io come una testa osservante di Beckett, un pupazzo dell’Assurdo, immobile. Stasera a parte la Pandemia e il buio da bunker, soffia anche un vento potentissimo, che entrando dalla cappa del camino, fa un rumore inquietante, come una specie di treno nero e infetto dalle finestre gialle al neon, che arriva dall’alto per scendere fino al mio salotto. Rumore continuo che sento anche dalla camera da letto, per tutta la notte. Domani vado nella grande piazza di quartiere, in fila a distanza di sicurezza a comprare le arance e una fetta di pecorino da mangiare coi baccelli. Ho un sovraccarico informativo e anche il complesso di Sant’Ignazio insieme. Sto cominciando a sentire un grosso esaurimento nervoso che cerco di arginare con la scrittura. Dice che a breve tutto il mondo, messo in isolamento allo stesso momento, milioni di persone chiusi nelle proprie case, faranno collassare la rete informatica mondiale e rimarremo tutti al buio, a sentire un treno fantasma che scende veloce dentro il camino di casa.
Duccio Ricciardelli, Firenze 7 aprile 2020