Lo scrittore della beat generation William Burroughs scrisse “language is a virus from another space”.
Proprio come questo virus che sembra essere giunto dallo spazio profondo e che ha un linguaggio per noi incomprensibile. Questo è un momento unico ma a dire il vero il momento proprio unico non è: 1720 peste, 1820 colera, 1920 spagnola, 2020 coronavirus.
Con scadenze di un secolo, all'inizio del ventennio pare che il Pianeta si vendichi dei danni che gli stiamo arrecando. Si vendica sulle persone e sui loro affetti più cari, decimando famiglie e la propria storia... Ma non voglio cadere nella retorica, di questi tempi imperante...
Le immagini del Papa che parla commosso in una piazza San Pietro deserta, sotto la pioggia battente, mi hanno profondamente colpito. Io non sono cattolico e ho sempre criticato la chiesa. Questo Papa, tra l'altro, non m piace molto e mi sembra essere un personaggio messo nel ruolo soltanto per lavare la coscienza sporca di un mondo ecclesiastico ormai consunto e compromesso. Però quelle immagini, al di là dei loro contenuti religiosi, mi hanno raccontato di come in certe circostanze l'umanità ha bisogno di sentirsi unita e stringersi intorno a qualcosa... non importa cosa, importa però che la gente possa tenersi, almeno idealmente, per mano. Avrei voluto essere lì anche io a fotografare ma invece, insieme a tutti gli altri, sono chiuso a casa in quarantena.
La falsa solidarietà di questi tempi deve lasciare spazio a un sentimento autentico di vicinanza e comprensione. Le persone valgono molto di più di tutte le cose negative che affrontiamo giornalmente e si meritano un posto caldo e sicuro in cui vivere insieme.
Speriamo che alla fine di tutto questo qualche insegnamento sia andato a segno.
Nel frattempo restiamo in attesa del prossimo centennio, del quale probabilmente non saremo testimoni.
Alberto Ramella, Torino 30 marzo 2020