Io sono stata fortunata ad aver vissuto la quarantena in una casa accogliente, con una delle mie personcine preferite, mia figlia.
Al di fuori della mia cosiddetta zona di comfort, sappiamo che la pandemia ha toccato ognuno di noi ma in modo diverso.
L’emergenza non è stata solo sanitaria. In una città come Firenze, la fragilità della monocultura, basata sul turismo è sotto gli occhi di tutti. La fragilità del pensiero comune che la linea della condivisione si debba fermare un po’ più in qua se dobbiamo dare e un po' più in là se dobbiamo prendere non può funzionare.
Il coro accorato di far ripartire l’economia tende a volere andar verso una rinormalizzazione, ma questo non può funzionare, pensiamo che dovremmo utilizzare lo stesso fervore per pretendere che non torni più tutto come prima.
Non accettiamo di barattare il diritto al lavoro con il ricatto di doverlo fare a qualsiasi condizione. Il turismo a Firenze ha dato sì da lavorare a molte persone, ma nella maggioranza dei casi erano lavori sottopagati, a nero o stagionali. La quarantena ha reso queste persone ancora più fragili, senza tutela, con aiuti dalle istituzioni che stanno finendo, con le persone, famiglie intere che si rivolgono al terzo settore e le reti di volontari (meravigliose persone) che stanno mettendo delle toppe là, in quei buchi che siamo stati tutti attenti, per troppo tempo, a schivare anziché riparare, ricostruire. Non dobbiamo però fare affidamento al buon cuore di chi lo fa come volontariato. Non accettiamo più di tacciare di assistenzialismo quelle misure necessarie, ora più che mai, a mettere le basi per un tessuto sociale, culturale e economico diverso e non uguale a prima, che consenta una vita dignitosa a tutte e tutti, senza lasciare indietro nessuno. Non dobbiamo più aver paura di rivendicare i diritti di redistribuire equamente la ricchezza che offre il territorio, senza vendere o svendere risorse e beni comuni, che sono patrimonio di tutte e tutti
Antonella Bundu, Firenze 13 maggio 2020