Durante questo isolamento la vita si muove in uno spazio onirico, dove la costrizione e la limitazione della libertà di movimento fisico volge in favore di quello mentale. I contatti esterni avvengono attraverso la rete, che ci mantiene o intrappola nel tempo.
Un libro mi ha trovato in questi giorni, facendosi notare dallo scaffale della mia libreria: “L’isola del giorno prima” di Umberto Eco. L’isola per l’appunto, un luogo mitico che si pone come un luogo di salvezza per il naufrago febbricitante, speranza di resurrezione e nuove scoperte fisiche ma soprattutto mentali; quella che dobbiamo raggiungere è però “del giorno dopo”. Già dal 2009, nella mia prima personale curata da Paolo Marini, ho indagato il tema “dell’isola della salvezza”, che per me è il luogo dove si scatena la creazione, che da sempre si esprime al meglio se costretta in uno spazio imposto.
Sto quindi lavorando ad una sorta di cartoline dalla quarantena, topografie di ipotetici tessuti connettivi, composte con smalti, plastica e filo su cartoncino. Potrei definirle mappe di navigazione attraverso geometrie astratte e angolazioni improbabili e illusorie, quanto quelle delle curve e dei grafici, precisamente imprecisi, sui quali tanto in questi giorni l’uomo ha cercato di analizzare l’andamento di una malattia che è anche immagine del momento storico. L’umanità sembra riscoprire l’attenzione a distanze e misure, riprendendo necessariamente coscienza del proprio corpo, in una vita che si svolge da remoto. Essere sprezzanti, talvolta, sembra l’unico antidoto a questa pandemia, governata solo da una stabile incertezza. Davanti ad orizzonti che inevitabilmente ci fuggono e illudono, non tocchiamo con mano, senza guanti, neppure la realtà fuori dall’uscio di casa.
Alessandra Crescioli, Firenze 25 aprile 2020