Ieri ho visto venirmi incontro, sul mio stesso marciapiede, una signora debitamente mascherata. Ho attraversato la strada e mi sono portato sul marciapiede opposto. È stato un gesto condizionato, istintivo ma, c'è poco da dire, ho avuto paura. Inconscia, ma paura. Come se quella povera signora fosse un 'pericolo' misterioso e incombente. Mi sono anche accorto che, per farmi aprire la porta di casa, suonavo in campanello solo con un dito della mano guantata, e spingevo la porta cercando di tenerla aperta con il gomito. Allora? Paranoia! Non cautela, paranoia.
Mi sono chiesto cosa succederà alla 'riapertura'. Entreremo al bar per un aperitivo o tireremo di lungo? E il cinema? E la passeggiatina per il centro? Cambieremo marciapiede ogni qual volta qualcuno incroci dalla nostra stessa parte? C'è da avere paura. E non paura del Coronavirus, ma di noi stessi.
Andrea Rauch, San Giovanni Valdarno 15 aprile 2020
La sindrome della capanna
Siamo entrati nella ‘fase due’ ma di casa sono, al momento, uscito assai poco. Una puntata a ritirare dei libri che avevo ordinato in cartoleria, e a prendere il pane. Nient’altro, poi. Nella mia ‘uscita’ sono entrato al bar per un caffè ma, diligentemente, sono uscito a berlo in strada. Ho apprezzato le lastre di plexiglass che isolavano il barista e lo tenevano lontano dagli avventori (che non c’erano in quel momento. Ero l’unico nel locale). Ho dato un’occhiata ai cornetti e ai tramezzini ma ce n’erano solo un paio con il prosciutto e la scelta non mi è sembrata esaltante.
Mi manca la vita precedente? Non lo so, e non so se, come direbbe uno psichiatra, sono affetto dalla ‘sindrome della capanna’, che colpirebbe attualmente oltre un milione di italiani e che si sposa con i miei comportamenti attuali.
Certo che non ho gran voglia di uscire di casa e di cominciare a modificare di nuovo il mio abitudinario tran-tran. La mascherina mi dà uggia e mi appanna gli occhiali: i guanti mi bloccano la sensibilità delle dita e non riesco quasi a prendere i soldi dal portafoglio. Posso fare a meno della ‘birretta’ e dello spritz arancione e, anche se mi trovassi a Milano, non credo che mi affannerei ad affollare i Navigli alla ricerca di una movida perduta.
Ci abitueremo al nuovo trend, naturalmente, ma ci vorrà del tempo e al momento, senza eccessiva paranoia, sto meglio in casa. Per ora mi affaccio alla finestra e vedo qualcuno che va a spasso con il cane. Il viale si ripopola lentamente, le mamme cominciano a riportar fuori i bambini, le badanti accompagnano gli anziani a fare i loro due passi mattutini.
Alla Messa siamo già tornati. Prima o poi torneremo anche a teatro. Vedremo. Al momento, aspettiamo.
Andrea Rauch, San Giovanni Valdarno 25 maggio 2020