Dopo un mese di confinamento, le serie di Netflix e Vikings come se piovesse, mi sposto cautamente su Mediaset Play, chissà. Digito Serie. Prima schermata: Tutto Ferilli. No, proprio non ce la posso fare. E così mi dedico rassegnato al famoso cassetto, quello sempre chiuso, tenuto nel caos, quello di “intanto lo infiliamo qui, poi si vede”. Ma scorrono le stagioni. Apro cautamente il cassetto. Ora o mai più. Afferro un mucchio di fogli, di cartoncini, biglietti del treno, ricevute e annotazioni. Appoggio tutto sulla scrivania. Sbuca una piccola foto in bianco e nero. Si distingue un ragazzo nettamente biondo, allampanato, il ventre convesso e i capelli sciolti sulle spalle. Sono io. Eh sì, qui ho 18 anni. Per forza: è Londra. Quel ragazzo-io mi fa correre immediatamente a Firenze in via Giotto numero 53, il ventre convesso invece mi ricorda che ho una certa fame. Chiudo gli occhi e mi precipito fuori. Salto sul 14 e scendo in via Cavour, davanti a Feltrinelli. Guado il fiume della folla a piazza del Duomo. Ho fame di un panino tonno e cipolline dai Fratellini. Che mistero quel panino. Sarà il pane, ma è una rosetta. Allora saranno le cipolline, o magari sarà il tonno. A casa non mi viene così buono. Mentre cammino rapido con l’acquolina in bocca, mi sorge un dubbio: prima prendo il gelato da Perché no, o prima il tonno e cipolline dai Fratellini? In via dei Calzaiuoli incontro Andrea con quei suoi capelli neri lunghi fino alla schiena. Come fanno a crescergli così in fretta? Mi afferra per un braccio e mi trascina all’Isolotto, c’è un collettivo studenti-operai, con pochi operai, tema: occupazione delle case all’Isolotto. Si fa buio e torno in centro, forse è rimasto un tonno e cipolline. Scuoto la testa. Ho fame, cammino e brancolo nel buio ancora più fitto delle nuove parole della riunione che mi sconquassano la testa. Il fatto è che non riesco a decifrare i documenti di fase. Lascia perdere la fase, è un periodo x della lotta anticapitalistica, e va bene. Ma prendiamo la democrazia dal basso: a che luogo corrisponde questo basso da cui dovrebbe ascendere la democrazia? Boh. Mentre cammino verso piazza della Signoria, mi chiedo se potrò mai vedere in faccia il capitalismo maturo e finalmente capire che aspetto abbia. Io sono incerto se radere al suolo proprio tutto il capitalismo maturo. Per esempio, quando nei film si vede Manhattan, è entusiasmante, e quello è in pieno capitalismo maturo. Ci sono taxi gialli, i vagoni della metro, Central Park con gli hippies, i Blind Faith che suonano In the presence of the Lord e c’è lo wha wha di Eric Clapton. D’accordo, intorno camminano uomini d’affari, ma chi se ne frega di quei poveracci incravattati. Speriamo che quando arriverà il comunismo dal basso, non tocchi tutti quei magnifici taxi gialli perché questo mi costringerebbe a tornare liberale. Come posso decifrare la lingua algebrica dei documenti, penso mentre mi avvicino a piazza della Signoria. D’altra parte, la sola cosa che so fare, è vendere il Manifesto ai cancelli di facoltà. Come mi diverto. È una pantomima al confine tra l’imbonitore e il commediante. Faccio lo strillone e riassumo i temi politici con delle rime improvvisate. In una mattinata ti vendo anche centotrenta copie. Accanto a me c’è Antonio che vende l’Unità. È un compagno siciliano del Pci, di solito in un consunto principe di Galles. Studia Storia con Villari, capirai. Vende quelle venticinque copie nella grafica plumbea dell’Unità. Se no c’è Formaggino, con la voce catarrale, che piazza settanta copie di Lotta Continua - ma io lo polverizzo. Però, dico, noi, tutti noi, come vivremo? Nelle nostre case in affitto, parliamo con scioltezza del fatto che solo nel giro di venti, venticinque anni matureranno le condizioni perché ci sia la rivoluzione. Graduale, italiana, senza morti. Insomma alla Manifesto. In quel tempo quasi prossimo, senza la Democrazia Cristiana, e figuriamoci il Movimento Sociale, si vivrà tra uguali e io e i miei amici saremo dirigenti rivoluzionari con un regolare stipendio. Non è male: una riunioncina, il panino tonno e cipolline e un bicchiere di Ricasoli.
A questo penso mentre arrivo in piazza della Signoria. E chissà perché quando entro in piazza, alzo la testa verso la Loggia dei Lanzi - avrei potuto non alzarla, invece lo faccio, e così succede. Li vedo. Proprio sotto la testa di Medusa che pende dalla mano del Perseo, seduti per terra a gambe incrociate, ci sono loro. I Canned Heat. Accosciati. I californiani del lamento rockblues di On the road again, perseguitato dal basso di Larry Tailor. Le barbe lunghissime e nere come nelle foto di Ciao Duemilauno. Ok, lo sanno anche i sassi che la sera dopo suonano allo Space, ma trovarseli davanti a trenta metri da Palazzo Vecchio, è come vedere saltare fuori tutti gli dei dalle stessa conchiglia. Comunque, da quei venti metri di distanza, riconosco perfettamente la barba del cantante, Bob Hite, piazzata a ridosso di un corpo polifemico prestato al ventesimo secolo. Deglutisco. Madonna quanto è ganzo. Capito? Sono già in città. Accanto a Bob, a neanche uno stivaletto, c’è Alan Wilson, una delle migliori armoniche blues del pianeta, dopo Jack Bruce dei Cream, chiaro. Ora io ci parlo. Con il cuore in gola, salgo i gradini della Loggia. Naturalmente stanno rollando. Hi, faccio, peace and love. Però stento, ho la bocca secca. Yeah, fa Alan, peace and love, ma senza alzare la testa. Tanto quelli sono californiani, basta mezza vibrazione e beccano dove sei. Danno le spalle e rollano. Che perfezione di silenzio. È l’occasione della mia vita, devo mantenere acceso il falò che ho appena avviato con il mio coraggioso peace and love. Pur di non stare zitto, chiedo ad Alan se non hanno paura di quella testa mozzata che pende su di loro. I rockers guardano in alto e scuotono la testa all’opera di Cellini. Non se ne erano accorti, ma ora sì. This is Medusa, spiego nel mio inglese elementare imparato da Pamela, la ragazza alla pari di Sheffield, ingaggiata da mio padre per farci imparare l’inglese, solo che poi l’ha sposata mio fratello e quello che so l’ho imparato tutto dai Cream.
Fine - dicono, bella. Gli spiego che il giovane bellissimo con la spada è Perseo che ha appena decapitato Medusa. I Canned sono girati verso di me e fanno sì a occhi chiusi. Ci scommetto che non riescono a vedermi dietro la nube pungente di maria.
Conoscete Perseo e Medusa? Gli eroi dico. Do you know theese heroes? - sono così fiero del mio correttissimo theese con due e, perché è plurale. Le palpebre dei Canned rimangono chiuse. Saracinesche californiane saldamente abbassate. Le loro teste chine dondolano e fanno segno di no.
No - chiarisce Alan, alzando una palpebra - sorry.
Cavolo, com’è educato, penso. Mimetizzare così bene che non gli frega niente di Medusa. Ma insisto.
Wow! - faccio in inglese – I know David Crocket …io conosco David Crocket e voi non conoscete il Perseo! - I Canned Heat aprono gli occhi e ridono. È fatta. Ora li invito da Perché no a prendere un gelato.
Ci sarebbe un regno, proprio qua accanto… a kingdom, around here - dovete conoscerlo…ci sono grandi vibrazioni di crema, cioccolata e panna.
Ok man.
Visto? Gli ho scosso il cuore. Utilizzare David Crocket come parametro è stata una cazzo di idea colossale. Ci ha affratellato. Adesso io sono uno dei Canned Heat e i Canned Heat sono ragazzi di Firenze. In mezza canna attraversiamo piazza della Signoria. Stessi jeans, stessa lunghezza di capelli. Siamo accanto, camminiamo accanto tra la normalità quotidiana delle statue di giovinetti nudi, il Biancone e la fontana sotto la torre di Palazzo Vecchio. Eroi greci ed eroi del rock.
Entriamo nella piccola gelateria alle spalle del vinaino dei Fratellini e ordiniamo. Appoggio le mani sul ripiano di acciaio, ci sono le impronte opache delle dita di Alan Wilson.
Sono i Canned Heat… - sussurro alla padrona che è alla cassa, è una mia amica.
Chi sono Alessandro?
Faccia conto Mozart.
Serviti. Hite il colosso ispeziona con una lingua di dimensioni polifemiche la cavità del cono dove è appena scivolata la cioccolata e la sua bocca spalancata riempie la bottega. O my God, sospira. Certo, vedere i Canned Heat in una viuzza dietro Palazzo Vecchio è diverso che immaginarli nella nube d’erba di un pulmino, su un’autostrada senza fine, tra i cactus e la vastità gialla del deserto californiano.
Coi coni sgocciolanti in mano, siamo accovacciati sul gradino della cartoleria Steiner, proprio di fronte alla gelateria. Lecco la crema, esploro l’arancio e i pezzi di cioccolata. Sopra le nostre teste incombono le penne stilografiche e sotto ci sono i Canned Heat con i capelli lunghissimi e i jeans stracciati. Sembriamo la copertina di un trentatré. È ora che mi lascio andare con la mia tribù.
I miss Hendrix, boys, sospiro, mi manca Hendrix ragazzi.
Racconto della prima volta che ho sentito Voodoo Chile e la mia voce si rompe. Lacrime a dirotto, niente da fare: singhiozzo. I Canned Heat si tirano su dal gradino della cartoleria e uno alla volta iniziano ad abbracciarmi. Mi tiro su e tutti insieme mi fanno corona. Piangiamo.
Che ha il canino da piangere, che vuole? Hicks è sotto la scrivania del computer e reclama l’uscita. Ma non vedi che sto abbracciando i Canned Heat? Via ciccio, hai ragione, è da ieri sera che non rilasci. Mi alzo. Sì mi alzo… ahi, ho un piede addormentato. Accidenti alla circolazione. Buono Hicksino, ti porto fuori. Si va al boschetto sotto casa, che più di duecento metri non si può andare, e annusi tutte le cosine. Dammi il tempo, ciccetto. Abbi pazienza, prendo l’auto-certificazione, mi metto quella mascherina del cappio che mi sega la barba e si va.
On the road again.
Alessandro Schwed, Montalcino aprile 2020