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Tempi di virus

Per me, dovrebbe essere un periodo felice. Sempre costretto a girare per conferenze e lezioni, incontri e riunioni, finalmente posso soddisfare un desiderio inesaudito: stare molto a casa con i miei figli e mia moglie, leggere, scrivere, studiare, cincischiare e – è un termine che vorrei innalzato alla lingua aulica – cazzeggiare.

Senza più scuse, sono costretto, finalmente, a scrivere il libro più bello della mia vita.

Però, come diceva Nonna Nanna, soprannominata Veleno, “Troppa grazia, sant’Antonio!” Vorrei scrivere pagine umoristiche, forse degne di David Sedaris, sulle contrastate gioie di un’immersione totale – diuturna e lunghissima – nella vita di famiglia. E sui piccoli problemi che si moltiplicano ogni giorno, fino a diventare o apparire draghi con lingua di fuoco, invincibili. Ma non è il momento di tentare l’umorismo.

Piuttosto, le preoccupazioni sul futuro. Quelle economiche, politiche e sociali, certo, ma in particolare due. La prima è che si perpetui il sistema di controllo che siamo stati costretti a subire senza neanche la possibilità di obiettare: il timore che il Potere, sperimentata la pienezza del comando, si comporti come un branco di lupi all’odore del sangue. È nella sua natura. La seconda paura riguarda l’inversione, o il rallentamento, del corso della storia. Quella dei Sapiens va indubitabilmente verso l’unità: dalle tribù agli Stati, agli imperi, dalle voglie di un impero universale, al sogno di un’unione mondiale. Questa crisi potrebbe spingere alla solidarietà, a una collaborazione fra Paesi che ne eviti altre. I segnali, però sono diversi, ognuno per sé e chi s’è visto s’è visto.

“Babbo!”

“Sì Nicola, sì Pietro, vengo a giocare a Fortnite…”

Giordano Bruno Guerri, Lanzarote 15 aprile 2020